domenica 3 novembre 2013

Contiamo fino a tre!

15 ottobre = 365 giorni x 3 = 36 mesi = 3 anni = 94 cm
 
 
Una madre capisce quello che un bambino non dice
Anonimo
 

Sono nato a mezzanotte come Cenerentola in una notte di passaggio tra le ultime calde giornate estive e le prime fredde avvisaglie dell'autunno. Una via di mezzo, insomma. In equilibrio, come la bilancia, simbolo del mio segno zodiacale.
E' stato un passaggio difficile per me, il nascere. Doloroso. Avrei voluto conservare, come la Bilancia, un perfetto equilibrio tra il dentro e il fuori. Ma questo non è possibile, pena la morte. E' stata la mia mamma a richiamarmi alla vita e ora le sono grato. Ma per tanto tempo sono stato sull'orlo di un precipizio, attratto vorticosamente dalla vertigine dell'oblio.
Avevo un amico con me, nella pancia della mamma. Un fratello o una sorella. Un gemello. Sono stato l'unico a saperlo, a conoscerlo. Eravamo legati, ne sono certo. Abbiamo condiviso quei primissimi istanti in cui qualcosa si forma, in cui sboccia la vita nuova. Ma lui o lei non ce l'ha fatta: ha smesso di lottare, si è arreso. Dolcemente. Mi ha detto: Addio, devi farcela tu anche per me. Non dimenticarmi troppo presto, addio, addio!
Ho continuato a crescere, sapendo che lì, al calduccio, ben vicino alla mamma, avrei conservato la compagnia e il ricordo del mio fratello gemello. Per sempre, noi due uniti al corpo della mamma. L'incanto si è rotto, però, e qualcuno da fuori, ostile, nemico, mi ha strappato a mio fratello, decretando la mia nascita. Anche la mamma forse non avrebbe voluto, ma è stata obbligata con la forza a farmi nascere. Questo è quello che gli adulti, se ho ben capito, chiamano parto indotto. So che la mamma era a pezzi e mi dispiace sempre vederla triste in certi momenti: ormai ho capito che quando si arrabbia molto, è perché le viene il nervoso per come è stata trattata.
Il mondo fuori, il vostro mondo, non mi è piaciuto: tutto freddo, tutto abbagliante, tutto duro, tutto rumoroso. Gesti bruschi, voci acute, strani riti, visi ignoti. Ma la cosa più triste è stato scoprire che qui nessuno sapeva del mio gemello, nessuno capiva il mio dolore per averlo dovuto abbandonare. Neanche la mamma capiva.
Perciò ho avuto un solo obiettivo: dirglielo! Ma come? Io non parlavo la vostra lingua, io straniero in terra straniera. Io non avevo il vostro denaro che tutto può. Non avevo modo di mandare una e-mail, un sms, anche solo una lettera. Perché avrei dovuto fare parte di un mondo in cui nessuno ti capisce?
Ma forse, un modo c'era. Una strada brutta che non avrei voluto scegliere. Ma forse... Potevo tornare da mio fratello! Come? La decisione è presa. Prendo coraggio e... FERMO TUTTO.
?
Sì, esatto. Comincio con il peso. Sono un bambinone, ma a cosa serve? Il mio fratellino era piccino picciò. Anch'io posso ben fermarmi, no?
Poi i denti si fermano, i capelli non si allungano.
Inibisco tutte le abilità motorie. A 8 mesi ancora non sto seduto. Non voglio.
No.
Non voglio parlare come voi, la vostra lingua che sa solo offendere o gridare. Voglio farmi sentire solo piangendo. Piango, piango, piango. Sono tristissimo. Il dolore mi strazia. Ma non voglio essere consolato. Respingo tutti, piango anche in braccio. Di giorno, di notte.
Il cibo? Bleah.
La nanna? Bleah.
Il bagnetto? Bleah.
Il seggiolone? Bleah.
Il passeggino? Bleah.
I vestitini? Bleah.
Le canzoncine? Bleah.
La musica? Bleah.
Le immagini? Bleah.
Mi piace il telefono, questo apparecchio che permette di sentire la voce di chi non c'è. Ne voglio uno, per parlare con il mio fratellino (o sorellina).
Ma non basta, perché nessuno capisce.
Non il pediatra, non gli esami del sangue. Nessuno.
Così ci provo. Provo a passare la soglia che divide i vivi dai morti. Ho una crisi di pianto, vado in apnea. Non riprendo fiato e svengo. Sono pallido, il cuore batte lentamente. Respiro a fatica, ho un tremito, la bava alla bocca, gli occhi rivoltati in su. Una corsa in un posto orribile chiamato pronto soccorso.
Peggio che andar di notte. Alla mamma dicono: sono capricci.
Ma io ho 13 mesi e non cammino. Peso 7 chili e mezzo. Non dico una parola. Ho solo gli incisivi inferiori.
Così vado avanti, una crisi dopo l'altra fino a 19 mesi. Per fortuna, nel mio grande dolore, brilla una luce. La mamma non è convinta. Non si fida. E' una ribelle, lo so. Se solo facesse un piccolo sforzo!! La supplico in tutti i modi piangendo e avendo crisi e lei per poco non cede all'impulso di farla finita anche con me e di dare fuori di matto.
Poi finalmente un giorno mi solleva, mi guarda fissa negli occhi e lì capisco che mi vuole bene davvero e farà di tutto per aiutarmi. Prende una decisione: non si farà più condizionare da nessuno.
 

Assomiglio un po' a Tintin!
 

Mi accompagna da un dottore molto bravo che non mi spoglia e non mi tocca con strumenti freddi e mani nervose. Mi fa gattonare sul suo tappeto e mi fa vedere tante piccole scatoline colorate. Poi, magia, mi fa tornare a casa con i nonni! E la mamma resta a parlare da sola con il medico per un'ora intera.
Con una medicina molto potente che si chiama Arnica e un'altra ancora più potente che si chiama Pulsatilla, il mio dolore si placa un po'. Forse il mondo non è poi così male, dopotutto. E io a 21 mesi cammino. I denti crescono, i capelli diventano folti. Mi butto perfino a fare un bel bagno in mare.
La mamma è più contenta e insieme ridiamo come due che si divertono molto. Che bello avere una mamma!! Le crisi vanno e vengono. La mamma capisce che ho bisogno di molta comprensione e va a visitare per me un bell'asilo che si chiama Casa dei Bambini Montessori. Vuole che io sia libero e in compagnia durante la scuola materna.
La direttrice è molto esperta e le consiglia di andare a parlare con una sua amica psicanalista. Questa signora, quando viene a conoscere la mia storia, chiede alla mamma:
Signora, lei quanti bambini aspettava?
E la mamma, senza pensarci su, esclama:
Due!
Alla sera la mamma mi prende nel lettone e mi racconta che l'ha sempre saputo. Che lei lo sapeva che eravamo due. Lei crede che fossimo un fratello, cioè io, e una sorella. E che, quando ha capito che aspettava un bambino, è andata in un negozio per comprare un paio di scarpine per festeggiare la bella notizia. Ma, quando arrivò davanti allo scaffale, non sapeva decidere se scegliere il paio rosa o il paio azzurro. Le avrebbe prese tutte e due. Voleva farlo. Poi ha avuto come l'idea di dare un taglio netto: ha scelto il paio bianco.
Allora io ho pensato che ne valeva la pena e che adesso potevo nascere di nuovo e vivere questa volta, ma da bambino felice. E finalmente posso dire la parola più bella: Mamma!
 
 
 


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