martedì 19 novembre 2013

11 novembre: San Martino e la passeggiata con le lanterne

3 anni!!

In ogni essere umano esistono facoltà latenti attraverso le quali egli può giungere alla conoscenza del mondo dello spirito.
Rudolf Steiner


Prosegue il nostro esperimento A scuola montessoriani, a casa steineriani. Lunedì scorso era San Martino, la seconda festa autunnale che ne segna il culmine: le foglie gialle e rosse danzano in aria, le giornate sono corte e fredde, ma i colori sono brillanti e vivaci. L'autunno secondo l'antroposofia è una stagione ricca, nella quale si mangia volentieri la torta al cioccolato e si fa molta festa in famiglia e a scuola, godendo del raccolto estivo maturato al sole. In autunno "si tira tardi" e si esce la sera ben imbacuccati nei cappelli di pelo. La stagione della parsimonia è invece la primavera.
 
La virtù di San Martino è la generosità che viene rappresentata come luce interiore. E' per questo che il simbolo della festa è la lanterna che porta la luce dall'interno verso l'esterno; anche i biscotti a forma di sole, luna e stelle sono caratteristici del santo, perché gli astri stessi si sono messi a servizio di colui che è rimasto senza mantello per riparare dal freddo un mendicante. Per questo si parla dell'Estate di San Martino.
 
A differenza di San Michele, San Martino è un santo familiare anche nei paesi mediterranei, sia per la sua provenienza francese, sia perché molti poeti e narratori si sono riferiti a questo giorno nei loro scritti; basti pensare alla celeberrima poesia San Martino di Giosuè Carducci, onnipresente in tutte le scuole (e l'unica che la sottoscritta ricordi a memoria).
 
La tradizione delle scuole Waldorf vuole che ogni alunno costruisca la propria lanterna in modo semplice ma d'effetto e la sera dell'11 novembre insieme alla propria classe e ai genitori compia una vera e propria passeggiata - nel bosco per chi abita in campagna o nel quartiere per chi abita in città - alla sola luce delle lanterne. Il camminare invita alla meditazione e la scia delle candele accese è l'emanazione della più autentica luce interiore che ogni essere umano possiede.
 
Come oramai è noto ai lettori di questo blog, io devo adattare qualsiasi concetto astratto a un bambino di tre anni:
- che non sta fermo un secondo e anche se fosse tutto legato riuscirebbe a sbattere le palpebre.
- che non ascolta nessuno per più di un nanosecondo, tranne la fata Ariele delle Favole di Rai yo-yo.
- che innanzitutto va. Il resto del mondo si arrangi.
 
Impossibile realizzare i biscotti sole-luna-stelle con lui, perché non sarebbe una vera partecipazione; inoltre Cico odia sporcarsi le dita di farina. Semplificare è la parola d'ordine montessoriana, purché si ricrei l'atmosfera giusta.
 
La notte prima vegliando fino a tardi ho realizzato da sola la lanterna di carta delle scuole Waldorf, che è basata sull'assemblamento di 11 pentagoni. Trovate le spiegazioni qui, ma vi suggerisco prima di capire bene come si disegna il pentagono regolare (a voi ne serve uno di modello con il lato da 8 cm che, una volta ritagliato, userete come sagoma per disegnare gli altri 10).
Ho aggiunto una maniglia fatta con del fil di ferro da fiorista che potrete applicare praticando due forellini ai lati con una piccola punta, usando per esempio un punteruolo o le forbicine delle unghie. Fate passare un capo del filo dall'esterno all'interno e arrotolate su se stessa la codina eccedente per fissare il manico. Ripetete dall'altro lato.
 
La sera di San Martino siamo usciti a cena noi tre per una pizza e al ritorno abbiamo percorso a piedi una delle vie più buie della città. Cico sembrava un predatore notturno in libertà e lo elettrizzava il fatto di camminare in mezzo tra noi. Arrivati a casa, non abbiamo acceso la luce, ma la candela della lanterna come nel Medioevo.
 

Meraviglia!! Sui lati della lanterna appaiono le stelle!!
Basta questo per attirare l'attenzione di tutti, piccoli o grandi che siano, e fare finalmente silenzio.
 
 

Estatici Ciao, ciao! alla luce dietro i vetri che brilla sul balcone, nello stesso posto (importante!) dove avevamo posizionato la ciotola delle candele galleggianti di San Michele.
 

Avete mai fatto una passeggiata notturna al buio con una torcia?
E' un'esperienza davvero consigliata, soprattutto se non avete ancora bambini intorno e volete prepararvi in spirito a subire (caso malaugurato ma assai probabile) un predatore notturno in libertà.
Dovete sapere che, per la nota Legge di Murphy, i predatori notturni in libertà arrivano nelle famiglie con una frequenza direttamente proporzionale al vostro piacere per il plaid e la tv o l'andata a nanna verso le 21 con un libro. Tanto più amate starvene in pace, quanto più un Predator busserà alla vostra porta.
 
Anche quando raggiungerete l'agognata meta dell'autonomia giocattolaia, non appena voi vi siederete sul divano o prenderete in mano il tanto sospirato libro, dato che Predator si sta trastullando con i pentolini o le torri, il suddetto Predator abbandonerà treni, pentole e padelle per strapparvi di mano il vostro plaid/libro/ricamo/cellulare. Semplicemente detesta che voi vi rilassiate. Dovete amorevolmente carezzargli i riccioli, finché, dopo due ore di rotolamenti sul divano con calci e gomitate, finalmente si addormenterà. Ore 0:30. Vi addormenterete anche voi e tanti saluti.
 
 
Lo spirito steineriano assorbito da bambini farà sì che la vostra luce interiore continuamente brilli, giorno dopo giorno, e vi impedisca di abbandonare un minorenne nella gelida notte invernale. Non sto esagerando: le fiabe sono piene zeppe di bambini ghiacciati e seminudi abbandonati nella notte con le loro piccole lanterne da genitori troppo poveri (= stanchi & stufi).
 
Invece voi, generosi come San Martino di Tours, potrete condividere metà del vostro plaid da tv con il piccolo Tirannosauro e avere la vostra Estate di San Martino al pensiero che, nonostante i precedenti giorni di pioggia, la giornata è stata soleggiata e quasi calda.



 

lunedì 11 novembre 2013

Mamma, io esco!

3 anni!!

Il bambino di tre anni,
il quale in precedenza
ha ricevuto il mondo attraverso l'intelligenza,
ora lo prende con le sue stesse mani.
Maria Montessori



La svolta dei tre anni. Servita su un piatto d'argento.


Niente più pisolino, nonostante le mattinate di indefessa attività montessoriana, ora del coprifuoco notturno assestata verso le ore 00.30 e tre uscite al giorno (mattino - mezzogiorno - pomeriggio) comprensive di carrello della spesa, Winnie The Pooh e borsina appesa al collo. Più passeggino per la fase "siediti qui che dobbiamo attraversare un viale a doppio senso unico alternato" - solito "odi et amo" di catulliana memoria - che io trascino vuoto cercando di preservare l'erede al trono dai possibili e tragici effetti del traffico metropolitano.

 

 
La brevissima parentesi domestica è invece caratterizzata da: apro frigorifero, prendo bottiglia latte, prendo tazza, verso latte, (mamma scalda latte), prendo bustina zucchero, prendo cucchiaino corto e lungo, (mamma apre zucchero), prendo cacao, apro cacao, verso cacao con cucchiaino lungo, mescolo latte con cucchiaino corto, bevo latte.
Esco (in pantofole). Chiavi. Baci. Ciao.
 
E' inoltre il periodo dei numerosi tentativi del da-venti-giorni-treenne di stirare: prendo sedia, prendo ferro, spina nella presa (da solo!), prendo polo del papà, salgo in piedi su sedia, acqua nel ferro, ammucchio polo sul tavolo (mamma distende polo), cerco di accendere ferro (mamma accende ferro), stiro, lancio polo sul ripiano sotto (mamma piega polo), scendo da sedia.
Esco (in pantofole). Chiavi. Baci. Ciao.
 
Questo è il mio piccolo Cico, ora più che mai amabile, la cui gestione mi pare un sogno ad occhi aperti rispetto alla fase 0-1 anno (Che qualcuno se lo prenda in affido), 1-2 anni (Attila, flagello di Dio), 2-3 anni (Il ragazzo selvaggio).

 

domenica 3 novembre 2013

Contiamo fino a tre!

15 ottobre = 365 giorni x 3 = 36 mesi = 3 anni = 94 cm
 
 
Una madre capisce quello che un bambino non dice
Anonimo
 

Sono nato a mezzanotte come Cenerentola in una notte di passaggio tra le ultime calde giornate estive e le prime fredde avvisaglie dell'autunno. Una via di mezzo, insomma. In equilibrio, come la bilancia, simbolo del mio segno zodiacale.
E' stato un passaggio difficile per me, il nascere. Doloroso. Avrei voluto conservare, come la Bilancia, un perfetto equilibrio tra il dentro e il fuori. Ma questo non è possibile, pena la morte. E' stata la mia mamma a richiamarmi alla vita e ora le sono grato. Ma per tanto tempo sono stato sull'orlo di un precipizio, attratto vorticosamente dalla vertigine dell'oblio.
Avevo un amico con me, nella pancia della mamma. Un fratello o una sorella. Un gemello. Sono stato l'unico a saperlo, a conoscerlo. Eravamo legati, ne sono certo. Abbiamo condiviso quei primissimi istanti in cui qualcosa si forma, in cui sboccia la vita nuova. Ma lui o lei non ce l'ha fatta: ha smesso di lottare, si è arreso. Dolcemente. Mi ha detto: Addio, devi farcela tu anche per me. Non dimenticarmi troppo presto, addio, addio!
Ho continuato a crescere, sapendo che lì, al calduccio, ben vicino alla mamma, avrei conservato la compagnia e il ricordo del mio fratello gemello. Per sempre, noi due uniti al corpo della mamma. L'incanto si è rotto, però, e qualcuno da fuori, ostile, nemico, mi ha strappato a mio fratello, decretando la mia nascita. Anche la mamma forse non avrebbe voluto, ma è stata obbligata con la forza a farmi nascere. Questo è quello che gli adulti, se ho ben capito, chiamano parto indotto. So che la mamma era a pezzi e mi dispiace sempre vederla triste in certi momenti: ormai ho capito che quando si arrabbia molto, è perché le viene il nervoso per come è stata trattata.
Il mondo fuori, il vostro mondo, non mi è piaciuto: tutto freddo, tutto abbagliante, tutto duro, tutto rumoroso. Gesti bruschi, voci acute, strani riti, visi ignoti. Ma la cosa più triste è stato scoprire che qui nessuno sapeva del mio gemello, nessuno capiva il mio dolore per averlo dovuto abbandonare. Neanche la mamma capiva.
Perciò ho avuto un solo obiettivo: dirglielo! Ma come? Io non parlavo la vostra lingua, io straniero in terra straniera. Io non avevo il vostro denaro che tutto può. Non avevo modo di mandare una e-mail, un sms, anche solo una lettera. Perché avrei dovuto fare parte di un mondo in cui nessuno ti capisce?
Ma forse, un modo c'era. Una strada brutta che non avrei voluto scegliere. Ma forse... Potevo tornare da mio fratello! Come? La decisione è presa. Prendo coraggio e... FERMO TUTTO.
?
Sì, esatto. Comincio con il peso. Sono un bambinone, ma a cosa serve? Il mio fratellino era piccino picciò. Anch'io posso ben fermarmi, no?
Poi i denti si fermano, i capelli non si allungano.
Inibisco tutte le abilità motorie. A 8 mesi ancora non sto seduto. Non voglio.
No.
Non voglio parlare come voi, la vostra lingua che sa solo offendere o gridare. Voglio farmi sentire solo piangendo. Piango, piango, piango. Sono tristissimo. Il dolore mi strazia. Ma non voglio essere consolato. Respingo tutti, piango anche in braccio. Di giorno, di notte.
Il cibo? Bleah.
La nanna? Bleah.
Il bagnetto? Bleah.
Il seggiolone? Bleah.
Il passeggino? Bleah.
I vestitini? Bleah.
Le canzoncine? Bleah.
La musica? Bleah.
Le immagini? Bleah.
Mi piace il telefono, questo apparecchio che permette di sentire la voce di chi non c'è. Ne voglio uno, per parlare con il mio fratellino (o sorellina).
Ma non basta, perché nessuno capisce.
Non il pediatra, non gli esami del sangue. Nessuno.
Così ci provo. Provo a passare la soglia che divide i vivi dai morti. Ho una crisi di pianto, vado in apnea. Non riprendo fiato e svengo. Sono pallido, il cuore batte lentamente. Respiro a fatica, ho un tremito, la bava alla bocca, gli occhi rivoltati in su. Una corsa in un posto orribile chiamato pronto soccorso.
Peggio che andar di notte. Alla mamma dicono: sono capricci.
Ma io ho 13 mesi e non cammino. Peso 7 chili e mezzo. Non dico una parola. Ho solo gli incisivi inferiori.
Così vado avanti, una crisi dopo l'altra fino a 19 mesi. Per fortuna, nel mio grande dolore, brilla una luce. La mamma non è convinta. Non si fida. E' una ribelle, lo so. Se solo facesse un piccolo sforzo!! La supplico in tutti i modi piangendo e avendo crisi e lei per poco non cede all'impulso di farla finita anche con me e di dare fuori di matto.
Poi finalmente un giorno mi solleva, mi guarda fissa negli occhi e lì capisco che mi vuole bene davvero e farà di tutto per aiutarmi. Prende una decisione: non si farà più condizionare da nessuno.
 

Assomiglio un po' a Tintin!
 

Mi accompagna da un dottore molto bravo che non mi spoglia e non mi tocca con strumenti freddi e mani nervose. Mi fa gattonare sul suo tappeto e mi fa vedere tante piccole scatoline colorate. Poi, magia, mi fa tornare a casa con i nonni! E la mamma resta a parlare da sola con il medico per un'ora intera.
Con una medicina molto potente che si chiama Arnica e un'altra ancora più potente che si chiama Pulsatilla, il mio dolore si placa un po'. Forse il mondo non è poi così male, dopotutto. E io a 21 mesi cammino. I denti crescono, i capelli diventano folti. Mi butto perfino a fare un bel bagno in mare.
La mamma è più contenta e insieme ridiamo come due che si divertono molto. Che bello avere una mamma!! Le crisi vanno e vengono. La mamma capisce che ho bisogno di molta comprensione e va a visitare per me un bell'asilo che si chiama Casa dei Bambini Montessori. Vuole che io sia libero e in compagnia durante la scuola materna.
La direttrice è molto esperta e le consiglia di andare a parlare con una sua amica psicanalista. Questa signora, quando viene a conoscere la mia storia, chiede alla mamma:
Signora, lei quanti bambini aspettava?
E la mamma, senza pensarci su, esclama:
Due!
Alla sera la mamma mi prende nel lettone e mi racconta che l'ha sempre saputo. Che lei lo sapeva che eravamo due. Lei crede che fossimo un fratello, cioè io, e una sorella. E che, quando ha capito che aspettava un bambino, è andata in un negozio per comprare un paio di scarpine per festeggiare la bella notizia. Ma, quando arrivò davanti allo scaffale, non sapeva decidere se scegliere il paio rosa o il paio azzurro. Le avrebbe prese tutte e due. Voleva farlo. Poi ha avuto come l'idea di dare un taglio netto: ha scelto il paio bianco.
Allora io ho pensato che ne valeva la pena e che adesso potevo nascere di nuovo e vivere questa volta, ma da bambino felice. E finalmente posso dire la parola più bella: Mamma!
 
 
 


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